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MessaggioInviato: 12 novembre 2008, 15:52 
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boozyfede ha scritto:
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Tecnologia%20e%20Business/2008/11/facebook-prigioniero.shtml?uuid=8827fdea-af01-11dd-a99d-3627287c4046&DocRulesView=Libero


:?:

non saprei, di certo ogni esagerazione porta a rovinare tutto. Io incomincio a godermi la mia libertà al di fuori di Facebook, o meglio impegnandola in altre attività facendo attenzione al consiglio di passerina :lol:

Cita:
passerina di bosco ha scritto:
....
ps fede.. .... ..e non mi limito ad un solo argomento fino a farlo diventare padrone della mia vita

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MessaggioInviato: 16 dicembre 2008, 17:16 
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http://www.climbook.com/index.php?optio ... &Itemid=16
molto bello, fa riflettere (almeno a me ha fatto quest'effetto) :? consigliato :idea:

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MessaggioInviato: 17 dicembre 2008, 9:45 
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Ma c’è un altro motivo per cui la scalata moderna è così attraente negli anni 2000: essa permette una fuga senza dover rischiare quasi nulla. E tutti noi desideriamo spesso ciò di cui abbiamo paura. Ma non abbiamo il coraggio di farlo. Desideriamo infrangere gli schemi, ma le norme e gli schemi infrangono questo nostro desiderio. Ed ecco che la scalata moderna ci offre una (pseudo) soluzione per questo nostro corto-circuito interno. Con la sua ultrasicurezza, i suoi spit sempre più solidi e ravvicinati, le sue vie sempre più lineari, marcate, pulite, asettiche, le falesie sempre più simili a palestre indoor e mai viceversa. L’arrampicata di oggi permette a tutti di provare un vero brivido per un finto pericolo; permette a chi non è coraggioso di fare una cosa da coraggiosi. Il pavido è attratto dalla scalata moderna proprio perché essa offre a buon mercato un pericolo da Luna Park; una soluzione al nostro nevrotizzante conflitto interiore tra il voler infrangere la norma, voler fare qualcosa di “eroico”, fuori dagli schemi e avventuroso e la nostra incapacità di farlo. Tra la voglia di mollare tutto, di fuggire, di mandare affanculo il capo, di agire d’istinto, di essere naturale e selvaggio e la mancanza di palle per fare tutto questo.


.... se mio figlio si dovesse accostare al mondo dell'arrampicata e questa fosse ancora normalizzata sullo standard degli anni '80, quindi protezioni improbabili, per niente standardizzate, materiale dubbio, logoro ed obsoleto, soste arruginite ed aleatorie ..... non avrei dubbi ad "imporgli" di cambiare attività ....

sono soddisfatto invece che in un mondo dove quotidianamente siamo tempestati ed investiti da problemi, polemiche e pessimismi galoppanti, il mondo dell'arrampicata abbia assunto una piega improntata al buonsenso ed ai nostri figli possiamo proporre un'attività outdoor sana e corretta dove viene esaltato il movimento ed il gesto atletico garantendo come in qualsiasi altra attività sportiva il giusto livello di sicurezza ...

da questo punto di vista cito due esempi, che riguardano anche frequentatori di questo forum, di luoghi che nella mia attività saltuaria e pressapochista ho avuto recentemente l'onore di visitare ed apprezzare, sono i settori sinistro, tranquillità e guru a Rian-Cornei nel finalese ( Walter1 )
e la falesia del castellaro ad Alpicella ( Erne ) .. :wink:


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MessaggioInviato: 17 dicembre 2008, 9:56 
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sono d'accordo.... (strano :twisted: ....) :lol:
altrimenti anche io avrei continuato a fare punto-croce (in realtà per la mia attività sarebbe piu' pericoloso il ricamo :? .....) :wink:

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MessaggioInviato: 17 dicembre 2008, 10:15 
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:roll: mah... io continuo a perdermi in quello che viene detto nell'opinione citata. Parte con un concetto che potrei anche condividere, sulla mutazione e sul discorso arrampicata-droga, anche se su alcune affermazioni della parte centrale è mia opinione che si contraddica parecchio :? . Per finire nell'ultima parte che condivido parecchio, ma che detta così mi sembra più un lamento/pianto di chi ha del rammarico per non aver raccolto (o saputo raccogliere) i frutti che si è meritato e guadagnato per la propria carriera sportiva

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MessaggioInviato: 17 dicembre 2008, 11:31 
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il discorso iniziale dell'arrampicata come droga e che
Cita:
la scalata non sazia mai perché con essa non si raggiunge mai nulla. Non c'è più una cima o una vittoria ma solo un limite che è dentro noi stessi, e per questo irraggiungibile


penso sia applicabile all'alpinismo in generale così come a qualsiasi attività
(anche chi corre i 200 m piani non raggiunge mai nulla perchè c'è sempre un limite da superare)

Cita:
una soluzione al nostro nevrotizzante conflitto interiore tra il voler infrangere la norma, voler fare qualcosa di “eroico”, fuori dagli schemi e avventuroso e la nostra incapacità di farlo


questo modo di vedere mi sembra piuttosto riduttivo, in ogni senso..


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MessaggioInviato: 8 gennaio 2009, 12:15 
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segnalo il bellissimo blog di Paulo (che ogni tanto scrive pure su MPT) http://www.cuneoclimbing.it/index.php?i ... ome&idu=27
davvero interessante "sulle orme del gigante" :!:
brau :wink:

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MessaggioInviato: 18 febbraio 2009, 17:05 
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per chi mastica l'inglese (o chi lo sta imparando :twisted: ) su 8a.nu trovate una bella intervista a Toni Lamprecht (bel personaggio) :wink:

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MessaggioInviato: 24 febbraio 2009, 17:48 
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altro articolo interessante di Jolly:

"Febbraio. La mia tenda era coperta da un sottile strato di ghiaccio. Tutti i giorni mi rintanavo dentro per quattrordici ore. Quando finalmente mi resi conto che il sole stava scaldando tutto l’ambiente circostante, uscii e mi diressi verso i bagni comuni. Mi resi conto di essere felice mentre facevo una pisciata nel cesso del campeggio comunale “Les Cedres”. Quasi tutti, ancora, dormivano. Dormiva Brunò e gli altri abitanti stanziali delle vecchie roulottes. Dormivano gli inglesi nelle loro tendine monoposto da alta quota. Dormiva tutto l’accampamento degli spagnoli, con i loro vecchi furgoni Volkswagen, posti in circolo attorno ai vari tavolacci recuperati indebitamente dalle altre aree del campeggio e affiancati a costituire il luogo della fiesta serale, ricoperti di piatti sporchi incrostati, bottiglie di birra vuote e lattine mezze schiacciate. Dormiva la bionda americana, che avevo sentito, con grande invidia, lungamente gemere nella tenda del selvaggio scalatore basco con la coda di cavallo. Io non avevo fatto nessuna fiesta. Non conoscevo quasi nessuno e come al solito, appena fatto buio, dopo la scalata, mi ero rinchiuso nel sacco a pelo. Avevo cucinato la pasta dentro la tenda, scolato l’acqua per terra appena fuori l’entrata, senza neppure uscire dal mio involucro, e avevo cominciato a leggere. Ero timido e sognatore, e tutto quello che stava accadendo in quel periodo, in quel campeggio, lo vivevo restando al margine.

Il campeggio municipale di Apt, vicino Buoux, era diventato il nuovo Camp IV, la cittadella della scalata mondiale, il posto dove si stavano inventando i gradi che avrebbero marcato la nuova era. Vivere a “Les Cedres” costava appena 3 franchi al giorno. Ci abitavano gli inglesi più forti, che stavano salendo tutte le vie più dure, sopravvivendo col sussidio di disoccupazione, che la legge britannica prevedeva, e che a “Les Cedres” bastava e avanzava. Ci svernavano gli spagnoli, che campavano vendendo il fumo agli ultimi fricchettoni rimasti in circolazione. Ci passavano gli americani in trasferta in Europa, e alcuni ci rimanevano, perché si invaghivano di qualche bella francesina scalatrice. Ancora non si vedevano gli est-europei, e la grande invasione dei tedeschi doveva ancora cominciare.

A Buoux, il settore frequentato dagli scalatori più ambiziosi si chiamava “la fine del mondo”. Tutti i giorni, per tutto l’inverno e parte della primavera, c’erano almeno due o tre persone di nazionalità diversa che provavano a salire “La rose et le vampires”. In quel periodo, nessun’altra salita di grado 8b, in nessun’altra parte del mondo, avrebbe conferito lo stesso rispetto e prestigio. Il mitico incrocio: tutto il corpo che passa sotto al braccio destro, per poi srotolarsi restando appeso soltanto a due falangi di una mano. Altri si cimentavano nella più facile, ma sempre mitica “Choucas”. E il suo famosissimo lancio. Io, timidamente, cercavo qualcuno che mi assicurasse su “Le Minimum”, la più difficile, oppure “Tabou Zizi”. Quelle rare volte che riuscivo a far capire agli altri, senza sbruffoneria, di aver già salito sia “La rose“ che “Choucas”, venivo accolto a pieno diritto in quella tribù internazionale.

Poi c’erano i tiri in alto.

Ben Moon stava appeso tutto il giorno lassù, sopra la “Croisette”, provando e riprovando una vecchia via di artificiale, che lui voleva liberare, e aveva ribattezzato “Agiuncour”, come una famosa battaglia vinta dagli inglesi sui francesi. Da quel balcone pensile partivano vie che sembravano appese direttamente al cielo, e quando ci si scalava sopra, la sensazione di vuoto era pari a quella che si provava in Verdon. Quando si usciva in cima, fuori dalla pancia della “Mission”, guardando giù non si vedeva più l’ultimo rinvio, tanto era lontano sotto i piedi, né l’assicuratore, che era nascosto dalla bombatura della parete, ma solo uno scivolo di roccia grigia e compatta, che inghiottiva la corda nell’abisso. Cadendo, il volo era sempre molto lungo, e si temeva di rimanere sospesi nel vuoto, senza riuscire a riattaccarsi alla parete.

Qui c’erano i gradi depositati e certificati; così come il metro e il kilogrammo erano custoditi nel museo dei pesi e misure di Parigi, Buoux custodiva i riferimenti per le misure delle difficoltà di tutto il mondo. Ma “La rose “ è più dura… Allora la nostra via vicino casa non può essere 8b. Si sentiva mormorare spesso in ogni lingua.

A Roma già lavoravo con i corsi d’arrampicata e potevo permettermi di fare il barbone in giro ogni tanto. Il mio carattere schivo, però, mi creava molti problemi pratici per quel tipo di vita in solitudine. Non intrattenevo relazioni con nessuno della comunità, peraltro molto aperta; mi vergognavo a fare l’autostop per raggiungere la falesia, che distava 9 km dal campeggio, e facevo molta fatica a elemosinare qualche sicura.

Un giorno, però, accadde un evento, totalmente fortuito, che mi costrinse per un poco ad uscire dalla mia tana d’orso. Era arrivata al campeggio una famosa scalatrice francese, giovanissima, ma già molto brava, oltre che bella e fotografata. Io l’avevo, ovviamente, subito notata. Quella notte, nel buio della mia tenda, avevo onanisticamente immaginato un impossibile incontro con lei, e la mattina mi ero avviato verso la falesia particolarmente ringalluzzito. Arrivai al settore TCF che già il sole aveva scaldato un poco la roccia. Era questo il luogo deputato al riscaldamento. La vidi subito. Seduta su una roccia mentre si allacciava l’imbragatura. Con gli occhi verdi che le brillavano, incastonati in quella pelle bianca come due pietre preziose. Sola. E mi guardava salire il sentiero, arrivare, posare lo zaino, abbozzare un cenno di saluto. Mi guardava mentre imbarazzato osservavo le pareti come per scegliere una via da fare; mi guardava e io speravo non vedesse il mio terrore.

<< Sei solo? >> mi disse in inglese.

<< Sì sono solo >> le risposi in francese.

<< Ciao, mi chiamo “xxxx” >> mi disse subito. Ce l’aveva proprio con me, perché c’ero solo io, sì.

<<Incantato>>, risposi; e credetti di aver fatto già il massimo sforzo possibile, di avere avuto un coraggio e una sfacciataggine fuori dal comune, pur sapendo che “incantato”, in francese, lo usano tutti, come noi diciamo “Piacere”.

Ma io ero veramente incantato.

<<Se vuoi possiamo scalare assieme>>.

Oddio no. Quanto è più facile quando si sogna. E quanto poi è più difficile la vita reale, quando si sogna troppo. Nulla è gratis, neanche il vorticare impazzito di atomi nella mia mente, neanche un amore sognato o il bacio sulla bocca di una donna che non lo riceverà mai. Perché se ti abitui troppo a sognare, poi nella vita reale sarai troppo imbranato, e pagherai lo scotto. Costa essere dio, poter aprire e chiudere gli occhi ed essere qualunque cosa, anche suo, soltanto suo, e immaginare che lei possa immaginare me, soltanto me.

Dovrò decidermi, prima o poi, a insegnare alla mia mente a guardarsi dai fantasmi, pensai.

<<Va bene>> risposi. Pensando che avrei dovuto cercare di essere simpatico, ma non sfacciato. Ma non mi venne in mente assolutamente nulla da dire. Mi terrorizzava. Dovevo scalare. Farle sapere, al più presto possibile, che io avevo salito “La Rose”.

<< Su cosa ti scaldi di solito?>> mi chiese. Voleva capire il livello. Modo più elegante per chiedere “Che grado fai?”.

<< Quello che vuoi tu>> risposi. Ok. Cosi va bene, gentile ma un po’ coatto.

<< Intendevo su che grado preferisci scaldarti”. Insisteva. Voleva sapere il livello. Ormai ero in ballo, dovevo rilanciare. Sapevo che lei era molto forte e giocava pure in casa. Lei non sapeva nulla di me.

<< Scegli te la via, per me andrà bene>> risposi.

<<Ok, allora, “Dresden” ti piace?>>. Mi sfidava. Dresden è il 7a+ più duro del settore. E per nulla adatto al riscaldamento. Con un boulder infernale di dita. Una via che non fa mai nessuno perché chiodata lunghissima. La scelta tipica per il riscaldamento sarebbe stata TCF, 7a facilissimo, forse il più facile di Buoux, tutto a buconi. Ma a me andava benissimo Dresden. Mi invitava a nozze. Dresden la potevo fare come se avessi dovuto salire le scale di casa. Allora risposi con noncuranza. Cercando di non farle capire che la conoscevo bene, quella via.

<< Questa qua sopra? Va bene, sembra carina>>.

Era fatta. Mi misi le scarpette, presi 5 rinvii (ce ne sono 4 o 5 soltanto per venti metri di via). E partii. Ora non ero più un pesce fuor d’acqua. Prima ero un salmone che stava agonizzando sulla terra secca e ora di colpo venivo buttato nel torrente di montagna. Salii accarezzando gli appigli, fluido e rotondo come un fiume che scorre attorno alle rocce. Veloce ma non a scatti. Quei pochi momenti di sforzo li dissimulai perfettamente, superando il passaggio chiave quasi con noia, moschettonando quando ormai il rinvio era sotto di me, come se me ne fossi ricordato all’ultimo momento e, uffa, vabbè, passiamo pure sto rinvio. Neppure esagerai con inutili virtuosismi eccessivamente coatti o da atteggione. Semplicemente salii come se fossi stato senza peso. Arrivai in catena con l’indolenza di una rondine che è salita volteggiando sul suo cornicione.

<<Blocca>> dissi . <<Blocca!>> dissi ancora.

Mi presi alla corda con le mani.

Non mi stava guardando. Non mi aveva mai guardato.

Mi aveva dato la corda come se fosse stata intenta a lasciare una lenza nella corrente. Non mi aveva mai calcolato neanche di striscio.

Tornai a terra. La guardai. Ero di nuovo un pesce fuor d’acqua. Ti sei persa Gesù che cammina sull’acqua. Vediamo se sai fare di meglio. Vai: ora tocca a te.
"

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MessaggioInviato: 24 febbraio 2009, 18:29 
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cmq invidio più il basco :!:

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MessaggioInviato: 25 febbraio 2009, 8:33 
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ah il racconto dovrebbe continuare eh :!:

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MessaggioInviato: 25 febbraio 2009, 14:46 
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intervista a Moffat :

Ciao Jerry, per quelli che forse sono nuovi a questi giochi e non ti conoscono... chi era Jerry Moffatt?

Ma, detto semplicemente, suppongo di essere stato un climber prolifico durante gli anni '80 e '90. Probabilmente uno dei migliori al mondo. Uno che ha viaggiato dappertutto, che ha liberato vie difficili, aperto nuovi boulder, uno che ha partecipato alle gare per un paio di anni e che ne ha vinte alcune!


Ci puoi descrivere la scena degli climber britannici all'inizio della tua carriera?

Il primo gruppo che ho incontrato era composto da persone che vivevano nella falesia di Stoney Middleton. Quando sono arrivato lì avevo solo 17 anni, avevo sentito parlare di questo famoso Stoney Woodshed dove la gente abitava. Quando sono arrivato era una specie di legnaia, senza muri. C'ho abitato per 2 anni. Era un gruppo di persone molto sporco, nessuno di loro lavorava, e tutti vivevamo con praticamente neanche una lira, dove pane bianco e ketchup era il pasto primario del giorno. Non avevamo una stufa e bevevo solo acqua, oppure 2 o 3 the nel caffè. La gente faceva autostop per arrivare dovunque, nessuno aveva una macchina. Quasi tutte le vie erano del tipo trad, non c'erano gli spit, le protezioni sulle vie erano abbastanza distanziate e l'importante era salire vie pericolose. Normalmente non dovevi spendere più di 2 giorni sulla via, e salivi forse 5 o 6 vie al giorno. Niente riscaldamento per tentaretutto il giorno una via soltanto. Era un gruppo ristretto, dovunque andavamo incontravamo le stesse persone.


Finalmente sulla roccia!

Sì, mi sono divertito sulle vie in Francia, a Buoux in particolare. La Rose e Le Minimum mi ritornano subito in mente, nel 1987 ho fatto una delle prime salite. Poi ho continuato anche arrampicando a vista in Germania, specie nello Frankenjura dove ho creato Stone Love nel 1988. Anche questo è stato un momento bellissimo.


A proposito – sei stato testimone dell'inizio delle gare moderne di arrampicata

In realtà ho perso le prime gare perché mi ero fatto male. Ho iniziato dal secondo anno delle gare e subito mi sono trovato in difficoltà. Arrampicavo molto al di sotto di quello che ero capace.

Ma non dovevi essere l'uomo da battere?

Credo che avrei dovuto esserlo, ma non lo ero affatto! Gli altri arrampicavano molto meglio di me e mi trovavo in difficoltà su vie che avrei dovuto salire senza nessunissimo problema. Mi ricordo a Bardonecchia, sono caduto da una via super facile della qualificazione. All'epoca avevi 10 minuti e la potevi provare quanto volevi. Sono subito ripartito e sono volato in cima ma siccome era facile dovevi salirla a vista per qualificarti. Ero devastato.


E cosa ci dici della dieta?

La dieta per me era sempre molto importante e tendevo a rimanere leggero tutto l'anno. Quando avevo un problema particolarmente difficile da risolvere, o se c'era una gara che volevo vincere, allora tentavo di ridurre il mio peso artificialmente facendo una dieta per un breve periodo. Ma se rimanevo così leggero tutto l'anno ho visto che facilmente mi ammalavo ed ero più predisposto ad infortunarmi.


Ma non ha dimostrato grande interesse per il trad.

No, ma oggi il gioco non sta lì. Le vie su nuts non sono il posto dove vieni giudicato. Quando ero giovane dovevi fare vie difficili e pericolose per essere riconosciuto. E come dicevo è per quello che ho fatto Master's Wall. Ma queste vie non sono più così di moda. La gente le fa, ma il gioco è molto più specializzato, almeno visto a livello globale. Se dovessi rifare tutto, non tenterei una giornata con le vie più difficili da slegato o quelle più pericolose, come facevo nel 1983.


La tua carriere da arrampicatore si è chiusa alla grande nel 2002 quando hai liberato The Ace, il famoso boulder gradato F8b a Stanage. Dopo di che sei praticamente scomparso da un giorno all'altro.

Se fossi stato capace di guadagnare dall'arrampicata gli stessi soldi che faccio adesso, avrei continuato. Ad un certo punto però mi sono chiesto per quanto ancora lo volevo fare, e mi sono reso conto che volevo essere economicamente sicuro per me e per la mia famiglia. Non guadagnavo abbastanza per avere una famiglia: sono sposato con due figli e volevo il meglio per loro. In quel momento ho trovato altri lavori - non potevo seguirli e contemporaneamente arrampicare ai massimi livelli.



http://www.planetmountain.com/News/show ... eyid=36616

..


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MessaggioInviato: 25 febbraio 2009, 14:58 
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caspita, uno dei miei idoli assoluti :P
non so quante volte ho riletto la sua ITW su uomini e pareti :!: un grande :!:

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MessaggioInviato: 27 febbraio 2009, 9:46 
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.... si pero' tra idoli, miti, fortissimi, piu' grandi e piu' forti non si capisce molto ..... sfogliando una rivista o bazzicando in rete sovente ci si imbatte in articoli di personaggi relativi agli '80 e '90 ..... possibile che fossero tutti i piu' forti ed i migliori ??


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MessaggioInviato: 2 marzo 2009, 12:25 
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