Il personaggio era notevole. Sulla settantina abbondante, di stazza massiccia e cospicuo girovita, aveva mani grosse e segnate dalla lunga carriera di operaio, un naso grande e grifagno e due orecchie particolarmente allargate sulla testa. Ma la cosa più significativa di quel viso cotto dal freddo e dal sole era l’eroica pattuglia di denti superstiti che, in maniera del tutto casuale, gli adornavano la bocca disposti nella posizioni più disparate. Un segno inequivocabile dello scarsissimo ricorso all’ortondonzia proprio della sua generazione.
La bizzarria della dentatura era accentuata dal fatto che il personaggio in questione era si burbero, ma incline alla risata e dunque rideva spesso, soprattutto dopo un paio di bicchieri di rosso.
Per tutti nella vallata era semplicemente il B. , il custode del rifugio su al Passo, niente di più, niente di meno. Ed era considerato da tutta la comunità uno dei più grandi montanari della zona.
Probabilmente non sapeva nemmeno sciare, non aveva mai arrampicato un metro di roccia e la parola rafting non sapeva neanche pronunciarla. Ma in quelle zone dell’Appennino tutte queste cose non hanno mai avuto la minima attinenza con l’essere uno che sa andare in montagna.
Laggiù ciò che contava era ben’altro. Ed esempio il fatto che il B. con qualsiasi condizione meteorologica, ed a qualsiasi ora del giorno e della notte, non esitasse ad infilarsi nella foresta, da solo o in compagnia, percorrendo chilometri tra forre, faggete, sentieri, mulattiere, crinali e greppe per qualsiasi necessità o per il solo gusto di farlo. Oppure il fatto che, con un paio di metri di neve abbondante, salisse più di duecento metri di monte, ciaspole ai piedi, solo per andare a controllare se al suo rifugio andava tutto bene. O ancora il fatto che fosse capace di trovare i funghi più grandi e pregiati seguendo sentieri invisibili ben segnati solo nella sua memoria. O infine il fatto che conoscesse a mente la posizione e la forma di ogni singolo albero e di ogni singolo masso che il buon Dio aveva messo in quel pezzo di paradiso sperduto per i monti; quel mondo incantato di cui lui si sentiva, oltre che custode e guardiano, una parte integrante.
La prima volta che lo incontrai fu a metà degli anni ’90. Era luglio inoltrato ed io percorrevo al tramonto un sentiero di mezza costa cercando di distinguere (peraltro con scarso successo) la pista buona dagli innumerevoli viottoli che si addentravano nella foresta scomparendo dopo pochi metri.
D’improvviso da dietro un faggio mi spunta il B. come se si fosse materializzato dal nulla, come se avesse preso corpo da una roccia, o fosse uscito da un’ombra delle tante che gli immensi faggi della foresta proiettavano sul terreno a quell’ora della sera.
Mi disse buonasera, scrutandomi da capo a piedi con un aria divertita.
Non ho mai saputo, a dire il vero, se a divertirlo di più fosse lo zaino enorme che portavo sulle spalle o la bizzaria di trovare, a quell’ora, nel cuore della foresta, un ragazzino come me che “puzzava” di città ad un chilometro.
Una cosa è certa: per quanto la sua apparizione mi avesse sorpreso, almeno altrettanto lo aveva incuriosito la mia presenza in quel luogo.
Io rimasi per qualche secondo zitto, addirittura intimorito.
Mi chiese se andavo al bivacco C., ben sapendo che quella era effettivamente la mia direzione, ma senza che io, ovviamente, lo avessi detto.
- Stai attento a tenere sempre il sentiero a monte che se no ti perdi! – disse.
Provai a mormorare che sulla carta era indicato di seguire il sentiero 27.
- Giusto!- esclamò - Solo che il 27 tu l’hai già perso da un po’, perché è più in alto, più o meno lassù- detto questo indicò un punto come tanti nella faggeta davanti a noi.
Gli chiesi allora come avrei fatto a riprendere il sentiero. Ero allarmato più dal fatto di non essermi accorto minimante di aver perso il sentiero, che dall’effettivo timore di essermi perduto.
Il B. allora si guradò intorno, poi alzo gli occhi sospirando come a dire: “Ma cosa ci venite a fare voi cittadini nella mi’foresta che poi vi perdete e a me mi tocca accompagnare i Carabinieri a cercarvi che se no si perdono anche loro”.
Poi fissando bene le sguardo tra i tronchi grigi dei faggi mi indicò un albero, apparentemente uguale agli altri e, con un mezzo sorriso mi disse di contare, a monte di dove mi trovavo, quattro alberi come quello; allora avrei ripreso il sentiero. A qual punto, aggiunse, dovevo andare tutt’addiritto e non potevo sbagliare.
- Ma non ci vorrai mica dormire? E sudicio come ‘na porcilaia! – esclamò concludendo le sue istruzioni.
Rimasi in silenzio, guardando l’albero che mi aveva indicato un po’ confuso.
D’improvviso si risvegliò in me l’orgoglio bischero dei miei pochi anni e gli dissi che effettivamente avevo pensato di fare tappa proprio li, che conoscevo il posto perché c’ero stato per tanti anni in vacanza e che non era la prima volta che andavo per boschi da solo.
Il B. si mise una manaccia in tasca e con un accenno di sorriso tirò fuori un toscano che mi porse con fare, a suo modo, gentile.
- Fumati questo!- disse – Te'tiene caldo de notte e manda via le zanzare e le ciminci –
- Grazie – risposi arrossendo. Mi ero reso conto di non essere stato proprio gentile.
- Domani mattina passo dal bivacco per controllare se sei sempre vivo o se t'hanno sbranato le pulci!– sorrise il B. – Bona camminata! –
- Allora vado su per quei faggià – domandai di nuovo guardando la foresta verso monte. Volevo avere una ulteriore conferma da quel montanaro esperto.
Non sentì rispondere, mi girai di scatto e mi accorsi che il B. era già sparito.